mercoledì 13 ottobre 2010

Scrivere è una lotta

Scrivere è una lotta, o così almeno dovrebbe essere.
Ho deciso di iniziare questo blog con un argomento estremamente ambizioso in modo da tagliarmi subito le gambe, farmi stroncare (ma da chi?!?) e non arrivare così neanche al secondo articolo.
Il manifesto programmatico continua così: la parola, la descrizione, il dialogo, l'immaginazione hanno tutti una ben determinata funzione, non esistono così per caso. O, meglio, non dovrebbero esistere per caso.
Emmanuel Levinas, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, si chiedeva se dopo Auschwitz fosse ancora possibile pensare, mentre Theodore Adorno arrivò ad affermare che "dopo Auschwitz non è più possibile la poesia".
Non c'è stato solo Auschwitz: l'orrore è sempre esistito, in forme varie, toccando vette di assurda violenza, come nei lager, come nel Darfur, come in Bosnia, come nei mercati di Baghdad, quando decine di persone muoiono all'improvviso per lo scoppio di un ideale inesistente.
Non li sto mettendo a confronto, li sto solo citando.
Mi sono chiesto tante volte: ma ha senso scrivere di fronte a questo?
E' vero che l'orrore, quando travalica il limite della possibilità dell'immaginabile, fa terra bruciata intorno a sé, lascia solo uno sgomento silenzio; la nostra capacità di pensare e di parlare viene sospesa.
Ma l'uomo, forse grazie alla sua natura animale, incarna da sempre una necessità di reazione e da questo possono scaturire rabbia, sconcerto, sete di vendetta o desiderio di testimoniare, per fare in modo che ciò che è stato visto non possa più accadere.

Scrivere per educare? Scrivere per intrattenere?
Sebbene la finalità possa essere una sola, dobbiamo arrivarci a passi successivi: l'intrattenimento crea interesse, il testo interessante potrebbe educare e arrivare a toccare la coscienza.
Parlo al condizionale, naturalmente. Potrei anche essere più definitivo e scrivere un manifesto in cui dire: "L'intrattenimento deve creare interesse. Il testo interessante educa e plasma la coscienza del singolo e del popolo.", ma il pensiero di leggere questa frase dipinta su una casa in modo che possa essere notata, come si usava fare in un triste periodo della nostra storia italiana, evoca in me realtà che vorrei non tornassero più.
E la fantascienza cosa può fare?

Anche l'immaginario può dare il suo contributo, raccogliendo spunti dall'attuale e dal passato e plasmandoli per mostrare che cosa ci si potrebbe aspettare dal futuro, incarnando quindi una funzione che non è soltanto di divertimento consolatorio, ma che invece deve fungere da stimolo per capire che quello che stiamo facendo, dalla cosa più piccola a quella che riteniamo più importante, ha una conseguenza, e come tale va considerata e meditata.
Raccontare: storie minori immaginarie, figlie di una Storia maggiore reale trascorsa irrompendo violentemente nelle vite, calpestando zerbini di benvenuto, interrompendo legami straordinari, ma anche diffondendo la conoscenza, dando da mangiare allo sviluppo, aggiungendo anni all'esistenza.
C'è sempre un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto; si tratta solo di descriverlo.

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